Dopo secoli di oblìo, qualcuno riprese a tornare a Ravenna con
l’intento di porsi nuovamente all’ascolto di Bisanzio, di inventare
un sistema che ne rilanciasse la percezione, di fare in modo che
l’intelligenza si riappropriasse di quella travolgente storia antica
e negletta, e che dunque quel formidabile mondo iniziasse a
diventar finalmente patrimonio comune. Ma troppo tempo era
passato, e nessuno si dimostrò d’essere ancora pronto per
inoltrarsi con cognizione in quella lontana epoca di splendori di
cui s’era perduto ogni nesso, di cui s’era abraso ogni
fondamento. Ravenna bizantina restava muta, appariva un
luogo cifrato ed ermetico, oscuro e sfuggente come i misteri
egizi. Fino a che arrivò non uno storico, o grecista, o filologo,
bensì un poeta a catturar di nuovo e per primo e dopo più di
cento secoli la nozione di quel cosmo antico e dimenticato. E
non si trattava di un poeta qualunque, poiché il suo nome era
Oscar Wilde. Giunse a Ravenna ventiduenne, nel marzo del
1877, e compose un poema, il suo Ravenna, letto l’anno
successivo, nel 1878, allo Sheldonian Theatre di Oxford e
subito premiato con l’insigne Newdigate Prize.
Ma quel 1878 è anche la data di uscita della prima Ravenna di
Corrado Ricci: l'uno è un libro di poesia, l'altro è un testo di
storia positiva e erudita, ma entrambi scritti con lo slancio di chi
riscopre e riconnette un passato di formidabili splendori per
consegnarlo a un presente che si desidera accolga la speranza
delle “magnifiche sorti e progressive”. E se oggi Ravenna
esiste, se vive riconsegnata alle trame delle nostre biografie e
della storia di Roma e di Bisanzio, lo dobbiamo pertanto a due
ragazzi di genio: a Oscar Wilde, irlandese di Dublino,
ventiquattro anni, e a Corrado Ricci, romagnolo di Ravenna,
che di anni ne aveva solo venti.
La conversazione si snoderà pertanto attorno a questo tema,
assai ricco anche di intrecci artistici che coinvolgono non meno
Corrado Ricci che il padre Luigi.
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