L'ORTO AMERICANO

Venerdì 04 Aprile
21:00 - 22:47
2025-04-04 21:00:00 2025-04-04 22:47:00 Europe/London L'ORTO AMERICANO Regia: Pupi Avati Attori: Filippo Scotti, Roberto De Francesco, Armando De Ceccon, Chiara Caselli, Rita Tushingham Distribuzione: 01 Distribution Nazione: Italia 2025 Genere: Drammatico Durata: 107 minuti Orari ven 4: 21.00 Intervento in sala del regista Pupi Avati dopo la proiezione  Acquista o prenota il biglietto online  Trama del film Bologna, nei giorni della Liberazione: un ragazzo vede entrare dal barbiere una nurse dell'esercito americano e se ne innamora all'istante. Lei è diretta a Ferrara, lui pensa di aver incontrato la donna che aspettava da sempre. Iowa, 1946: il ragazzo è diventato uno scrittore che si appresta a scrivere il romanzo della sua vita, ambientato in parte in America. Una notte sente chiedere aiuto da una voce proveniente dall'orto abbandonato dei vicini, dalla cui casa è scomparsa la giovane Barbara, proprio la nurse della quale si era innamorato in Italia. Scavando nel terreno nel punto dal quale proviene la voce Lui trova un vaso pieno di un liquido opaco con un'etichetta che fa riferimento ai genitali femminili. È l'inizio di una ricerca che porterà il giovane uomo ad Argenta, in provincia di Ferrara, sulle tracce della nurse che non ha mai dimenticato, e del folle che uccide le donne per asportarne e conservarne in formaldeide l'apparato genitale. Trailer Commento Pupi Avati non cessa mai di stupirci. Magari non tutti i suoi film ci sono piaciuti, su molte cose la pensiamo diversamente da lui, ma è forse l'unico autore talmente compenetrato col cinema da arrivare a dirigere ben 43 film (contando solo quelli per il cinema) in 57 anni di carriera, esplorando generi e tematiche, dal grottesco al religioso, dal biografico alla commedia, dal sentimentale all'horror, riuscendo a lasciare un'impronta personale in tutti, con una modalità produttiva dal budget contenuto e un parco attori che gli si è sempre dimostrato devoto. A 86 anni Avati continua a sperimentare, coi generi, con la musica e con la scrittura, visto che è anche autore di numerosi libri, romanzi e di una biografia. Gli amanti del cinema di paura lo hanno elevato a maestro grazie a film che hanno segnato veramente il nostro immaginario con l'originalità delle storie e delle ambientazioni, creando quel gotico padano che ha reso plausibile storie come quelle narrate in La casa dalle finestre che ridono, Zeder, L'arcano incantatore e i più recenti, da Il Signor Diavolo a questa sua nuova impresa, L'orto americano, che ci riporta nello Iowa di Bix e de Il nascondiglio. Perché Avati ci crede a queste favole oscure, che da bambino gli venivano raccontate vicino al focolare, dove tra tanta fantasia c'era anche qualche cruda verità, e riesce ancora a farci credere a quello che oggi ci racconta lui.  Nel suo nuovo film (tratto dal suo romanzo omonimo, adattato e "aggiustato" per lo schermo insieme al figlio Tommaso Avati), tornano alcuni temi che il suo cinema ha già percorso: il colpo di fulmine, il secondo dopoguerra, le voci dei morti, l'irruzione del soprannaturale in un mondo popolato di personaggi mostruosi e crudeli, spesso dissimulati sotto le spoglie più miti. Il protagonista – un intenso Filippo Scotti, che a tratti assomiglia al giovane Franz Kafka, intrappolato in un incubo da lui stesso creato – è un ragazzo di Bologna, che vuole fare lo scrittore ma a causa della sua tendenza a parlare coi morti (le foto dei defunti che lo accompagnano sempre) viene rinchiuso giovanissimo in manicomio. Guarito, scrive libri che nessuno pubblica, finché non gli capita l'occasione di passare un periodo in America, nell'Iowa, dove spera di scrivere il suo grande romanzo. Lì, in modo del tutto sorprendente, si trova come vicina l'anziana madre di una ragazza bellissima, un'infermiera dell'esercito americano di cui si sono perse le tracce in Italia e che si presume morta per mano di un serial killer (vArmando De Ceccon, bravissimo). Forse, ma il ragazzo ne è convinto, si tratta della stessa donna, sirena e chimera insieme, di cui si è innamorato perdutamente dopo averle brevemente dato un'indicazione mentre si trovava dal barbiere. Il suo dovere, dopo aver trovato un macabro reperto sepolto nell'incolto orto della vicina, è trovarla, o almeno renderle giustizia.  La storia, però, colma di coincidenze ed eventi strani, è solo un pretesto per mettere in scena una danza macabra in cui una belva assetata di sangue nobilita le feroci mutilazioni che compie sul corpo femminile scrivendo in forma di diario le sue azioni, interpolate da antichi epigrammi greci. In un raffinatissimo bianco e nero (nella splendida fotografia di Cesare Bastelli), che accentua la cornice gotica pura del racconto, Avati ci narra una storia da incubo, in cui gli assassini in catene devono entrare strisciando in una gabbia del tribunale, dove la gente satura degli orrori della guerra chiede di riparare ai delitti con altra morte, dove le bare si aprono, i morti resuscitano e le vagine si animano negli incubi. Amore e Thanatos, paura del sesso e desiderio bestiale, romanticismo e follia si mescolano in un film suggestivo, in cui gli attori si muovono essi stessi come ectoplasmi. L'inglese Rita Tushingham, la "It Girl" del Free Cinema Britannico, già riscoperta da Avati per Il nascondiglio, offre un bellissimo ritratto di vecchia impazzita dal dolore, che ricorda i personaggi di certo cinema dell'orrore americano interpretato da vecchie glorie come Bette Davis e Joan Crawford, Chiara Caselli è un perfetto Virgilio nel ruolo della locandiera che fa da guida al ragazzo e Roberto De Francesco è impeccabile in una parte per lui insolita, ma non c'è davvero nessuno fuori parte. E non possiamo non citare Sergio Stivaletti, autore di un effetto speciale artigianale impressionante, da grande scuola del cinema di genere.  Ognuno, da un film, porta a casa quello che gli resta, che spesso è molto poco. Ecco, di un film come L'orto americano, recitato per altro in gran parte in inglese, nonostante qualche minimo difetto, ci resta molto a livello sensoriale, come quella sottile sensazione di disagio che ti prende e ti fa sentire in colpa quando vedi cose che sai che non dovresti/vorresti vedere. E in questo Pupi Avati, cattolico credente e praticante, che coi morti - dice - ci parla davvero , ricopre la parte del diavolo, ancora una volta, da maestro. (Daniela Catelli - Comingsoon) #cinema #arte #cultura #spettacolo #film #restaurato #anniversario Cinema Mariani
  • Regia: Pupi Avati
  • Attori: Filippo Scotti, Roberto De Francesco, Armando De Ceccon, Chiara Caselli, Rita Tushingham
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Nazione: Italia 2025
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 107 minuti
  • Orari

    ven 4: 21.00

    Intervento in sala del regista Pupi Avati dopo la proiezione 

    Acquista o prenota il biglietto online 

Trama del film

Bologna, nei giorni della Liberazione: un ragazzo vede entrare dal barbiere una nurse dell'esercito americano e se ne innamora all'istante. Lei è diretta a Ferrara, lui pensa di aver incontrato la donna che aspettava da sempre. Iowa, 1946: il ragazzo è diventato uno scrittore che si appresta a scrivere il romanzo della sua vita, ambientato in parte in America. Una notte sente chiedere aiuto da una voce proveniente dall'orto abbandonato dei vicini, dalla cui casa è scomparsa la giovane Barbara, proprio la nurse della quale si era innamorato in Italia. Scavando nel terreno nel punto dal quale proviene la voce Lui trova un vaso pieno di un liquido opaco con un'etichetta che fa riferimento ai genitali femminili. È l'inizio di una ricerca che porterà il giovane uomo ad Argenta, in provincia di Ferrara, sulle tracce della nurse che non ha mai dimenticato, e del folle che uccide le donne per asportarne e conservarne in formaldeide l'apparato genitale.

Trailer

Commento

Pupi Avati non cessa mai di stupirci. Magari non tutti i suoi film ci sono piaciuti, su molte cose la pensiamo diversamente da lui, ma è forse l'unico autore talmente compenetrato col cinema da arrivare a dirigere ben 43 film (contando solo quelli per il cinema) in 57 anni di carriera, esplorando generi e tematiche, dal grottesco al religioso, dal biografico alla commedia, dal sentimentale all'horror, riuscendo a lasciare un'impronta personale in tutti, con una modalità produttiva dal budget contenuto e un parco attori che gli si è sempre dimostrato devoto. A 86 anni Avati continua a sperimentare, coi generi, con la musica e con la scrittura, visto che è anche autore di numerosi libri, romanzi e di una biografia. Gli amanti del cinema di paura lo hanno elevato a maestro grazie a film che hanno segnato veramente il nostro immaginario con l'originalità delle storie e delle ambientazioni, creando quel gotico padano che ha reso plausibile storie come quelle narrate in La casa dalle finestre che ridono, Zeder, L'arcano incantatore e i più recenti, da Il Signor Diavolo a questa sua nuova impresa, L'orto americano, che ci riporta nello Iowa di Bix e de Il nascondiglio. Perché Avati ci crede a queste favole oscure, che da bambino gli venivano raccontate vicino al focolare, dove tra tanta fantasia c'era anche qualche cruda verità, e riesce ancora a farci credere a quello che oggi ci racconta lui.  Nel suo nuovo film (tratto dal suo romanzo omonimo, adattato e 'aggiustato' per lo schermo insieme al figlio Tommaso Avati), tornano alcuni temi che il suo cinema ha già percorso: il colpo di fulmine, il secondo dopoguerra, le voci dei morti, l'irruzione del soprannaturale in un mondo popolato di personaggi mostruosi e crudeli, spesso dissimulati sotto le spoglie più miti. Il protagonista – un intenso Filippo Scotti, che a tratti assomiglia al giovane Franz Kafka, intrappolato in un incubo da lui stesso creato – è un ragazzo di Bologna, che vuole fare lo scrittore ma a causa della sua tendenza a parlare coi morti (le foto dei defunti che lo accompagnano sempre) viene rinchiuso giovanissimo in manicomio. Guarito, scrive libri che nessuno pubblica, finché non gli capita l'occasione di passare un periodo in America, nell'Iowa, dove spera di scrivere il suo grande romanzo. Lì, in modo del tutto sorprendente, si trova come vicina l'anziana madre di una ragazza bellissima, un'infermiera dell'esercito americano di cui si sono perse le tracce in Italia e che si presume morta per mano di un serial killer (vArmando De Ceccon, bravissimo). Forse, ma il ragazzo ne è convinto, si tratta della stessa donna, sirena e chimera insieme, di cui si è innamorato perdutamente dopo averle brevemente dato un'indicazione mentre si trovava dal barbiere. Il suo dovere, dopo aver trovato un macabro reperto sepolto nell'incolto orto della vicina, è trovarla, o almeno renderle giustizia.  La storia, però, colma di coincidenze ed eventi strani, è solo un pretesto per mettere in scena una danza macabra in cui una belva assetata di sangue nobilita le feroci mutilazioni che compie sul corpo femminile scrivendo in forma di diario le sue azioni, interpolate da antichi epigrammi greci. In un raffinatissimo bianco e nero (nella splendida fotografia di Cesare Bastelli), che accentua la cornice gotica pura del racconto, Avati ci narra una storia da incubo, in cui gli assassini in catene devono entrare strisciando in una gabbia del tribunale, dove la gente satura degli orrori della guerra chiede di riparare ai delitti con altra morte, dove le bare si aprono, i morti resuscitano e le vagine si animano negli incubi. Amore e Thanatos, paura del sesso e desiderio bestiale, romanticismo e follia si mescolano in un film suggestivo, in cui gli attori si muovono essi stessi come ectoplasmi. L'inglese Rita Tushingham, la 'It Girl' del Free Cinema Britannico, già riscoperta da Avati per Il nascondiglio, offre un bellissimo ritratto di vecchia impazzita dal dolore, che ricorda i personaggi di certo cinema dell'orrore americano interpretato da vecchie glorie come Bette Davis e Joan Crawford, Chiara Caselli è un perfetto Virgilio nel ruolo della locandiera che fa da guida al ragazzo e Roberto De Francesco è impeccabile in una parte per lui insolita, ma non c'è davvero nessuno fuori parte. E non possiamo non citare Sergio Stivaletti, autore di un effetto speciale artigianale impressionante, da grande scuola del cinema di genere.  Ognuno, da un film, porta a casa quello che gli resta, che spesso è molto poco. Ecco, di un film come L'orto americano, recitato per altro in gran parte in inglese, nonostante qualche minimo difetto, ci resta molto a livello sensoriale, come quella sottile sensazione di disagio che ti prende e ti fa sentire in colpa quando vedi cose che sai che non dovresti/vorresti vedere. E in questo Pupi Avati, cattolico credente e praticante, che coi morti - dice - ci parla davvero , ricopre la parte del diavolo, ancora una volta, da maestro. (Daniela Catelli - Comingsoon)


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Tag: arte, cinema, incontri / visite, teatro / spettacoli

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